Processo a Badoglio: l’appello

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Condannato anche in Appello. Nulla da fare per Badoglio, per la seconda volta considerato “traditore della patria” dal severo giudizio della giuria popolare. Il conteggio dei voti si era fatto talmente schiacciante che il presidente del Tribunale, Miro Gori, a un certo punto ha dovuto interrompere la conta tanto era evidente il verdetto. Quasi per non infierire ancor di più. E pensare che l’uomo dell’8 settembre questa volta si era fatto difendere da uno dei principali storici militari italiani, Giorgio Rochat. Non è bastato.
Un primo colpo di scena si era registrato nell’accusa, non più sostenuta da Nicola Labanca, influenzato (“preso da una sindrome Badoglio?”, ha scherzato Gori), sostituito in corsa da Maurizio Balestra dell’Istituto Giuntella di Cesena, curatore degli Atti del primo Processo. Due i punti sui quali ha ruotato l’accusa di Balestra. Prima di tutto le Campagne d’Africa di Badoglio: in Libia, ha deportato nei campi di concentramento quasi 100mila persone, colpevole di un autentico genocidio; in Etiopia, dove per debellare la rivolte non si è fatto scrupolo di utilizzare gas asfissianti, agendo come un criminale di guerra. Poi si è soffermato sull’8 settembre, “gestito in maniera pasticciata, lasciando 900mila soldati senza ordini, 650mila dei quali fatti prigionieri dai tedeschi. Badoglio aveva tre obiettivi: uscire dalla guerra, salvare la Monarchia, salvare la continuità dello Stato. Li ha raggiunti tutti e tre ma al prezzo di lasciare l’esercito a se stesso, colpa gravissima per un generale”. Netta la chiusura dell’arringa: “Badoglio è colpevole ma è difficile condannarlo, perchè facendo ciò si condannerebbe tutta la classe dirigente che lo ha appoggiato sino alla nascita della Repubblica. Le sue colpe però rimangono e sono gravi e per questo non può essere assolto”.
Giorgio Rochat, ha ribattuto colpo su colpo alle accuse. “Badoglio è stato il nemico numero uno della Repubblica di Salò e dei partigiani. Già questo dà un’idea del difficile momento nel quale si è trovato a operare”. Nelle campagna d’Africa, Badoglio tecnicamente è stato il miglior generale italiano: in Libia c’era una resistenza che nessun generale era riuscito a debellare, lui ci riesce; lo stesso fa in Etiopia in una situazione da tempo sfuggita di mano al nostro esercito. E arriviamo all’8 settembre: “se ne parla in modo cretino e limitato. La colpa di quel caos non era di Badoglio, bensì di Mussolini: lui ci aveva portati in guerra malgrado l’esercito non fosse preparato, lui ci rende le macchiette dell’esercito tedesco”. Nel ’43 era chiaro a tutti che la guerra era persa, e così la Monarchia si era trovata a un bivio: proseguire nella sconfitta finale insieme ai tedeschi, oppure “eliminare” Mussolini e passare con gli anglo-americani. Sceglie la seconda soluzione e punta su un militare che garantisse la continuità dello Stato, appunto Badoglio. “L’armistizio dell’8 settembre è un colpo di fortuna per l’Italia: noi subiamo la resa incondizionata dagli anglo-americani, loro ci riconoscono come interlocutori. È il massimo che si potesse ottenere in quel momento, con una nazione e un esercito allo sbando”. La conclusione: “Badoglio si trova a gestire una situazione dove Stato ed esercito non c’erano più. La colpa non è la sua ma di Mussolini che aveva trascinato l’Italia in guerra. Non si può fare di Badoglio il capro espiatorio di tutto”.
Così non l’ha pensata il pubblico presente, che anche nell’Appello ha condannato a larghissima maggioranza l’uomo dell’8 settembre.

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