Alfio Righetti 2017: "Spinks traballava, mi sono fermato". Ecco veramente com'è andata 40 anni fa
E’ stato un match che ha fatto sognare tanti italiani, oltre che tutta Rimini. E di quel combattimento quest’anno, esattamente il 19 novembre prossimo, ricorrerà il quarantennale. Stiamo parlando dell...

E’ stato un match che ha fatto sognare tanti italiani, oltre che tutta Rimini. E di quel combattimento quest’anno, esattamente il 19 novembre prossimo, ricorrerà il quarantennale. Stiamo parlando della celebre semifinale mondiale dei pesi massimi tra il pugile riminese Alfio Righetti, fresco detentore del titolo italiano, e l’americano Leon Spinks, che si è disputato al mitico Hilton di Las Vegas. In palio, oltre al già prestigioso pass per la finale, il fatto che nell’ultimo atto della serie il vincitore avrebbe affrontato niente meno che il grande Cassius Clay, già divenuto Muhammad Ali. Al termine di dieci round combattutissimi il campione riminese, classe ’52, perse il match ai punti e, con esso, la possibilità di sfidare “The Greatest”. “E’ stata senza dubbio un’emozione unica. Andare negli Stati Uniti per una semifinale mondiale, rappresentando l’Italia e Rimini, con la prospettiva di affrontare per il titolo quello che per tutti era una leggenda, è stata un’emozione bellissima, indimenticabile. Purtroppo l’epilogo è noto, ma non essendo abituato a guardarmi indietro va bene così, è stata comunque una bella soddisfazione”. Un pizzico di rimpianto, però, è innegabile ci sia stato. Specie per quella famosa settima ripresa in cui, dopo aver fatto barcollare l’avversario, Alfio si è fermato quasi cavallerescamente in attesa dell’intervento dell’arbitro. “In Italia eravamo abituati così, non era consentito continuare a colpire l’avversario in situazioni di difficoltà come quella, così non ho doppiato il colpo. Diciamo che ho pagato l’inesperienza a livello internazionale”. In finale Spinks ha poi avuto la meglio, anche in questo caso ai punti, su un Cassius Clay 35enne e ormai in parabola discendente alzando al cielo la corona mondiale più prestigiosa. “E’ difficile dire se sarei riuscito a batterlo anche io, anche se non più al top Muhammad Ali era pur sempre il “mito”. Sicuramente sarebbe stata una gran bella sfida e quello che è certo è che avrei dato il massimo perché nella vita certi treni passano una volta sola. Mi fecero però tanto piacere le belle parole che ha speso nei miei confronti al termine del match con Spinks, dove era spettatore interessato tra il pubblico. Purtroppo solo in seguito ho saputo della sua presenza e dopo il verdetto sono andato negli spogliatoi, così non sono riuscito a incontrarlo personalmente”. Righetti è arrivato a quell’appuntamento da campione italiano dei massimi, vinto nel marzo ai punti contro Dante Canè e riconfermato due mesi più tardi ai danni di Mario Baruzzi. Poi, dopo i successi contro Roy Wallace ai punti e quella alla sesta ripresa su Dennis Jordan, la vittoria ottenuta proprio a Rimini contro Ishaq Hussein grazie alla quale ha avuto la possibilità di sfidare Spinks. Dopodiché, nel ’79 il match finito in parità con Lorenzo Zanon per il titolo europeo e, nel 1980, il ritiro dopo il ko contro Terry Mims. “Ho appeso i guantoni al chiodo abbastanza presto, ma l’ho fatto quando ho sentito che era arrivato il momento. Avevo capito che la testa non c’era più, a livello di motivazioni, dunque ho detto basta. Qualche anno più tardi mi è venuta una mezza idea di tornare sul ring, un pensiero fugace che però ha confermato come prima avessi fatto la scelta giusta”. Lo sport è comunque rimasto decisamente presente in casa Righetti. Alfio, appena sceso dal ring, ha fatto un’esperienza nella pallamano. Il figlio Alex è diventato un ottimo giocatore di basket arrivando a conquistare, con la canotta della Nazionale, il bronzo agli Europei del 2003 e l’anno dopo la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Atene. “Dopo il ritiro ho militato un anno nella Pallamano Rimini di Tony Pasolini, mi hanno fatto fare il portiere perché ero grande e grosso dunque forse maggiormente adatto a rendere più piccola la porta agli occhi degli avversari. Alex da piccolo era appassionato di calcio, poi continuava a crescere in altezza così si è dedicato alla pallacanestro. Non gli ho mai suggerito di provare a salire sul ring, né lui me lo ha mai chiesto. Ed è stata la cosa giusta anche perché a livello di risultati ha fatto molto meglio di me”. Se lo sport è stata una passione, la professione vera e propria è stata nella polizia municipale di Rimini. “Ho lasciato la divisa di vigile urbano nel 2010, dopo 37 anni di servizio. Al proposito ringrazio le amministrazioni comunali, e anche i colleghi, che mi hanno permesso di combattere, di conciliare l’impegno lavorativo con gli allenamenti e le sfide sul ring. Oggi faccio il pensionato a tempo pieno e, dedicandomi alla famiglia, ai figli e ai nipotini, non mi annoio di certo”. L’ultimo pensiero non può che essere dedicato a cosa la “nobile arte” ha rappresentato per Alfio Righetti. “Onestamente non la seguo più tantissimo perché non ci sono più i campioni di una volta, quelli che ti facevano alzare alle 4 di notte per vedere un incontro in televisione. La boxe però è stata e continua a essere una cosa importantissima, la definirei una maestra di vita. Importante perché è sport, perché contribuisce a tenerti alla larga da altre cose, perché è una disciplina che ha un’etica e delle regole da rispettare. E questo nella vita è fondamentale”.