A Rimini +51,1% operazioni sospette di riciclaggio

Allarme del sindacato, il quadro regionale è pesantissimo 

Riciclaggio di denaro

I primi sei mesi del 2021 hanno visto crescere a doppia cifra le segnalazioni di operazioni sospette giunte all'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia. E in Emilia-Romagna il fenomeno è stato anche più netto che nel resto del Paese. A lanciare l'allarme sull'ultimo report della Uif è la Cgil di Modena, che parla di un quadro regionale "pesantissimo". Per Franco Zavatti, responsabile legalità del sindacato, finora quest'anno "sono stati rilevati ben 27 casi di sospetto riciclaggio ogni santo giorno". In totale, nella prima metà del 2021 in Emilia-Romagna la Uif conta 4.902 segnalazioni di operazioni sospette: sono il 40,9% in più del primo semestre 2020, quando furono 3.481. La crescita è superiore a quella registrata lungo tutto lo Stivale, dove si contano 70.157 operazioni sospette (+32,5%).

L'Emilia-Romagna è così la quarta regione italiana per numero di operazioni sospette segnalate, dietro a Lombardia, Lazio e Campania. Il report Uif riporta anche le segnalazioni sospette per provincia: sono 1.105 a Bologna (+34,1%), 307 a Ferrara (+32,9%), 423 a Forlì-Cesena (+53,8%), 647 a Modena (+24,9%), 502 a Parma (+36,8%), 232 a Piacenza (+28,2%), 437 a Ravenna (+64,3%), 723 a Reggio Emilia (+53,5%), 526 a Rimini (+51,1%).

Ma anche sul fronte delle operazioni sospette per money transfer, le cui segnalazioni sono triplicate rispetto al primo semestre 2020, la regione è tra i fanalini di coda con cinque province tra quelle posizionate peggio in Italia per importi inviati e ricevuti per 100mila abitanti: secondo la Cgil, questo mette l'Emilia-Romagna "tra le regioni con imprese, professionisti e 'prestanome' maggiormente coinvolti nei traffici finanziari illeciti coi Paesi stranieri cosiddetti 'paradisi fiscali'". 

 

 “Ogni giorno ventisette casi sospetti di riciclaggio nella nostra regione. Ogni giorno ventisette imprenditori, negozianti, professionisti che rischiano di finire nella rete dei traffici finanziari illeciti, resi vulnerabili dalla crisi generata dal Covid. I dati diffusi ieri dall'Osservatorio di Bankitalia hanno contribuito a riportare sotto i riflettori una delle conseguenze meno evidenti ma più insidiose, subdole e tossiche della pandemia: l’alta esposizione del nostro tessuto economico alle sirene della criminalità. Un fenomeno che conosciamo, che però si è rinvigorito e ha cambiato modalità operative dopo lo shock causato dall’emergenza sanitaria, con nuovi profili di rischio. I numeri forniti dall’Uif, l'unità di intelligence finanziaria della Banca d'Italia, lasciano poco spazio all’interpretazione: oltre 4.900 segnalazioni operazioni sospette in Emilia Romagna nel primo semestre, un aumento di oltre il 40% rispetto all’anno scorso, con Rimini che ne ha contate 526, quarta in regione dopo Bologna, Reggio Emilia e Modena, i capoluoghi dove sono sviluppati i principali comparti industriali emiliano-romagnoli. È evidente che nel nostro territorio, chi alimenta l’illecito trova terreno fertile nelle piccole e medie imprese diffuse che operano in particolare nel settore dei servizi, attività che per superare i problemi di liquidità dovuti al lockdown e alle chiusure prolungate possono essere spinti a rivolgersi a chi è capace di garantire subito una via d’uscita, al di fuori dei confini della legalità. Il rischio, in una fase storica così complicata e delicata, è quello di alimentare quel circolo vizioso, con gli investimenti illegali che producono redditi e automaticamente aumentano la domanda di riciclaggio.  

Condivido l’allarme lanciato dalla Cgil, richiamando la necessità di alzare il livello di guardia e adottare tutte le misure e i correttivi per invertire le tendenza e tutelare la nostra economia produttiva, commerciale e professionale dalle infiltrazioni mafiose. Occorre rafforzare gli strumenti che abbiamo messo in campo, penso agli importanti protocolli sottoscritti in questi anni con le istituzioni, le forze dell’ordine, le categorie economiche, i sindacati, così come alla necessità di mettere in rete le informazioni e le banche dati. Così come è necessario accendere l’attenzione rispetto a quei professionisti che prestano il fianco alla criminalità giocando il ruolo da intermediari, agendo in quella ‘zona grigia’. Azioni che possono dare frutti solo guardando in faccia il problema, prendendone cioè piena consapevolezza”.  

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