Bobo Gori: ‘Il mio Cagliari espugnò Lecce 1-2, segnai al 90′: che regalo per Gigi Riva neo presidente’

Storia e aneddoti dell’ex bomber riminese: vent’anni lungo lo Stivale, altrettanti da mister e istruttore di Scuola calcio

Massimo Bobo Gori con la maglia del Rimini in gioventù e davanti allo stadio Neri

Da ragazzino, nel settore giovanile del Rimini, gli affibbiarono il nomignolo di Bobo e da allora Massimo Gori è diventato per tutti Bobo Gori. “Avevo le caratteristiche di Roberto Boninsegna, gli assomigliavo nei movimenti” spiega con un pizzico di civetteria.

Massimo Bobo Gori, classe 1961, professione attaccante, è stato un prodotto del settore giovanile biancorosso, ma la sua carriera l’ha spesa lungo tutto lo Stivale, in buona parte al sud.  Nel Rimini fa tutta la trafila, annusa l’aria della prima squadra con Helenio Herrera. E’ il 1977-78. “Ero negli Allievi, il Mago a volte mi portava il giovedì con la prima squadra”. L’anno dopo serie D in prestito al Russi (4 gol in 19 partite) – “Lì capii che potevo fare qualcosa di importante, feci parte della Nazionale di serie D con Guglielmo Giovannini” dice – e rieccolo al Rimini nella stagione della promozione in serie B con Maurizio Bruno.

“Feci 30 gol nella Berretti di Pederiva, ero nel gruppo della prima squadra perché ad inizio stagione il ds del Riccione allora in serie C, mi richiese Rino Cavalcanti che tutti qui ricordano con grande affetto, ma la società non mi fece andare. Ero ben voluto da tutti: Sartori, Valà, Donatelli, Mariani, Franceschelli. Proprio loro  furono protagonisti di una stagione eccellente, facevano sempre gol e se non segnavano loro ci pensava Tedoldi. Per me non ci fu spazio, avevo 18 anni. Ricordo che una mattina non mi svegliai e saltai l’allenamento prendendo la classica scusa che mia madre stava male. Ovviamente non ci credette nessuno, ma la passai liscia. Dalla stagione successiva – Casalotti Roma, serie C2, spedito da Gino Stacchini, allora responsabile del settore giovanile del Rimini – è partita la sua carriera: 11 gol in 30 partite che non bastarono a salvare il club laziale dalla retrocessione in un girone complicato.

Gori ha fatto il professionista per una ventina di anni navigando nel mare magnum della serie C, poi dell’Interregionale e via a scendere: ha chiuso la carriera al Matelica in Prima categoria. “Raggiungemmo la salvezza ai playout  contro l’YRS Ascoli: andammo ai rigori, io segnai quello decisivo dopo una estenuante maratona. Erano le 19,30” ricorda. Siamo a metà degli anni Novanta, allora i soldi circolavano: si narra che il suo ingaggio sfiorasse i 30mila euro.

Da allora Gori è passato dall’altra parte della barricata: da più di venti anni fa l’allenatore nelle categorie dilettantistiche curando anche  l’attività di scuola calcio. Spesso ha centrato spesso salvezze proibitive, solo a Cattolica, la piazza forse a cui teneva di più, non gli riuscì il compito: dall’Eccellenza i giallorossi finirono in Promozione. Nelle ultime stagioni Gori è sbarcato nel campionato sammarinese. L’ultima esperienza a Faetano dove è stato esonerato a favore di Renato Cioffi: “Il motivo? Non comment” sibila Bobo. Ora è sulla riva del fiume ad aspettare la panchina giusta. “Il livello sul Titano è cresciuto, lavorano bravi colleghi, è cresciuta l’organizzazione. Ho una gran voglia di tornare in sella”.

Gori, se tornasse indietro che cosa non rifarebbe?

“Col calcio mi sono divertito, ho fatto il mestiere che mi è piaciuto, ho  tanti amici in giro per l’Italia anche nel mondo del calcio che, al contrario di altri, non ha mai messo in mezzo per un aiutino – racconta – . E’ vero, avrei potuto fare una carriera migliore, stare per qualche stagione in serie B quando avevo le richieste, magari chissà arrivare in A, ma ho sbagliato qualche scelta: peccati di gioventù. Comunque non mi lamento, accettando categorie inferiori ho strappato buoni ingaggi. Va bene così”.

A cosa si riferisce?

“Beh, dopo la stagione di Foggia in C1 mi feci convincere da mister Renato Zara, che mi aveva allenato a Cattolica, per seguirlo a Jesi in C2. Il ds era Ermanno Pieroni mentre dall’altra parte c’era Ernesto Bronzetti. Mi vennero a prendere a casa, fecero leva sulla mia voglia di riavvicinarmi a casa e in un modo o nell’altro riuscirono a convincermi”.

Chi la voleva?

“Taranto e Cosenza in B, Monopoli in C1. Sbagliai, ripeto. A Jesi avremmo dovuto vincere e invece non riuscimmo pur disputando un buon campionato. In squadra c’era Angelozzi ora responsabile dell’area tecnica al Frosinone, Fausto Vinti in difesa. Collezionai 29 presenze senza gol. Zara fu esonerato, arrivò Bruno Piccioni”.

Un’altra occasione persa quale fu?

“L’indimenticato Italo Castellani riuscì a farmi andare allo Spezia in C1.  Si fece sotto la Sanremese in C2 dove c’era ancora mister Zara in coppia con Cavalleri come ds e io accettai. Segnai tre gol in 16 partite, ci piazzammo a metà classifica, ma la società fallì in primavera e non beccammo una lira negli ultimi mesi. A Sanremo mi svegliavo e vedevo il mare, in inverno la temperatura era mite. Un paradiso. Ma professionalmente non fu la scelta giusta. Col senno di poi avrei dovuto guardare di più ai miei interessi. In quella stagione – 86-87 – c’era l’Ospitaletto di Gigi Maifredi neopromosso in serie C1. Chissà, si sarebbero potuti aprire scenari inaspettati con Maifredi”.

La stagione più gratificante fu senza dubbio quella dell’83-84 quando Gori approda al Cagliari di Mario Tiddia. C’è l’ex Rimini Minguzzi in porta, il peruviano Uribe, l’uruguaiano Vittorino, e ancora Ravot, Piras, Carnevale.  Una gran concorrenza in attacco.

Gori, come andò ?

“Avevo 22 anni, ero una promessa. Il Cagliari mi prese dal Cattolica in C2: avevo segnato 11 gol, sei la stagione precedente sempre in giallorosso e prima ancora 11 reti al Casalotti. Mi acquistarono per più di 300 milioni. Giocavo al fianco di Uribe, ai Mondiali dell’82 lo ammiravo in tv: venne eletto il terzo miglior giocatore dopo Maradona e Falcao e a Cagliari poi me lo ritrovai in spogliatoio con me. Giocai 23 partite, segnai due gol di cui uno decisivo a Lecce (1-2): era il 90’. Azione Maggiora- Ravot, cross, Pionetti non esce dai pali e io di testa la metto dentro. Ricordo bene quella giornata. Nella settimana successiva persero la vita in un incidente stradale Pezzella e Lorusso, due giocatori del Lecce: stavano andando a prendere il treno a Bari per andare a Varese in vista della partita successiva: loro non prendevano l’aereo. Fu la prima partita di Gigi Riva presidente”.

Che tipo era Riva?

“Riva sta a Cagliari come Maradona a Napoli. Le dico solo questo: al giovedì quando noi giocatori rientravamo nello spogliatoio, entrava in campo lui. Metteva una ventina di palloni al limite dell’area e cominciava a bombardare il secondo e il terzo portiere. Sugli spalti si passava dai duemila ai quattromila spettatori. Ho detto tutto”.

Anche a Foggia, l’anno successivo, non andò male.

“Assolutamente.  Ero in C1. Era il Foggia del presidente Casillo, in squadra c’era un altro riminese, Delio Rossi – era il capitano – Gianni Pirazzini terzino, Lamberto Giorgis l’allenatore. Mi pagarono una cifra tra i 600 e i 700 milioni: il Cagliari aveva bisogno di soldi e mi cedette. Anche in questo caso avremmo potuto vincere il campionato, invece si salvammo all’ultima giornata pareggiando col Campania Puteolana dell’amico Giordano Cinquetti grazie ad un pareggio. Io segnai sei reti in 29 partite, 4 in Coppa Italia. Sul piano personale fu una stagione soddisfacente, per quello dico che sbagliai ad accettare Jesi scendendo di categoria anche perché avevo solo 24 anni”.

Ricorda un gol particolare?

“Foggia-Nocerina. All’89’ perdiamo 0-1. Ci viene assegnato un rigore. In tribuna la gente contestava. I primi due rigoristi Bruzzone e Tavarilli si allontanano, allora ci penso io. Segno e vado sotto la curva ad esultare e faccio un gesto misto di esultanza e di stizza per la contestazione. Morale: sono rimasto barricato nello spogliatoio fino alle 23,30, i tifosi mi volevano picchiare”.

Altre reti significative?

“A Rapallo in Interregionale a fine carriera segnai solo un gol. Fu pesante perché vincemmo lo scontro salvezza contro il Santa Margherita Ligure”.

La sua carriera si è spesso incrociata come abbiamo visto con Renato Zara.

“L’ho avuto a Cattolica – serie C2 – per due stagioni. Fu il mio trampolino di lancio. Il primo anno quarto posto, fu una stagione esaltante: il giovane Betta in porta, Tappi in attacco, Cerri, Solfrini. Una squadra attrezzata, purtroppo Anconitana e Mestre lo erano di più e furono promossi. Al Calbi c’erano anche duemila spettatori, molto entusiasmo. Io giocai 26 partite con sei reti”.

La seconda come andò?

“La squadra era meno competitiva. Ci salvammo all’ultima giornata nonostante la sconfitta a Francavilla perché il Senigallia, che inseguiva a due lunghezze, pareggiò col Lanciano. A livello personale andò bene: 11 gol in 31 partite. Lo schema era semplice palla lunga per il sottoscritto. Allora si marcava a uomo, e io nella bagarre non mi tiravo indietro”.

Dicevamo di Zara. Che tipo era?

“Aveva un debole per me. Gli facevo anche degli scherzi, ma mi perdonava sempre. Ero schietto, ci prendevamo a brutto muso, ma alla fine nessun rancore. Ricordo una sua sfuriata dopo un rigore sbagliato contro l’Osimana, mi spedì fuori rosa per due giorni, salvo richiamarmi per la trasferta successiva di Brindisi dove vincemmo con una mia rete. Ci abbracciammo alla fine. Zara non poteva fare a meno di me, ma io non ne approfittavo. Aveva tante conoscenze, sapeva prendere giovani di valore. Urlava tanto ed era scaramantico all’eccesso, aveva manie pazzesche. Quando si vinceva, la settimana seguente voleva ripetere per filo e per segno le stesse cose. Era sempre elegante in panchina – continua Gori divertito – . Quando si vinceva e il campo era pesante, gli tiravo del fango sulla giacca e Renato abbozzava”.

Come era Gori da giocatore? Quali erano le sue caratteristiche?

“Un attaccante generoso, giocavo per la squadra e fuori dal campo ero una spalla per chi era in difficoltà. Ero uno positivo nello spogliatoio, e gli allenatori mo volevano bene. Tecnicamente avevo un bel tiro potente, di testa segnavo perché trovavo i tempi giusti, sapevo far salire la squadra, prendevo botte. Dovevo andare ai mille all’ora per fare la mia parte. Un centravanti da campi del sud: dopo Sanremo sono finito alla Vigor Lamezia”.

Un’altra stagione che ricorda con favore?

“Quella di Trani in C2, 29 partite e quattro gol. Squadra composta da giocatori di categoria, esperti, c’era Gentile che poi sarebbe venuto al Rimini: io creavo spazio e lui si buttava dentro; dai 5 ai 7 mila spettatori alla partita, duemila all’allenamento. Una gran bella esperienza. Ci piazzammo quarti, vinsero due corazzate: Ternana e Andria. Si stava bene a Trani, se uno voleva lasciarsi andare c’erano possibilità di svago…”.

Il tecnico migliore che ha avuto?

“Francesco Giorgini. Mi allenò nell’89-90 a Gubbio in C2. Segnai cinque gol. Buttammo via il campionato dopo essere stati a lungo al comando. Giocavamo alti, nel fuorigioco eravamo spudorati, lo facevamo addirittura con palla scoperta. C’erano Roberto Rossi, Morbiducci in attacco, Luiu e Ulivi, ex Riccione, Di Curzio. Fu Giorgini che mi consigliò al Giulianova nel 1992-1993: cercavano un attaccante di esperienza. Realizzai quattro gol. Poi tappa a Termoli, ultimo club di serie D con una sola rete. Una squadra di ragazzini, la retrocessione fu inevitabile”.

Gli altri?

“Sono legato a tutti. Tutti mi hanno dato qualcosa. Il più colorito certamente Renato Zara, era capace di fare spogliatoio”.

L’ultima sua apparizione in serie C fu a Latina.

“In squadra c’erano Andrea Tentoni ed Enrico Buonocore, erano ragazzini poi protagonisti di una eccellente carriera. Ebbero grande spazio perché io giocai solo dieci partite in quanto fui operato per tre volte di menisco. Se fossi stato in salute sarebbe stato più difficile per loro mettersi in mostra”.

C’è stata una promozione nella sua carriera?

“Con la Cagliese, prima di chiudere a Matelica. La squadra salì in Eccellenza grazie al mio bottino di 16 gol in 18 partite. La stagione successiva furono 11. Ricorderò sempre con affetto don Magnoni, il parroco. Era lui l’eminenza grigia del club”.

Bobo Gori mister: la salvezza più difficile?

“Quella alla guida del Lucrezia. All’andata la squadra girò a 7 punti nel ritorno con me ne fece 22. Ci salvammo a spese del Camerino per la migliore posizione in classifica dopo il doppio pareggio nella doppia sfida decisiva. Mi presi anche una squalifica di sette mesi poi ridotta: venni alle mani mio mio malgrado col collega avversario”.

Lei è stato a lungo responsabile del settore giovanile. Alla sua attività di allenatore di prima squadra abbina quello di istruttore di calcio giovanile.

“Ora sotto la regia di Valter Sapucci lavoro assieme ad altri colleghi al Garden, il mio primo amore: tanti anni fa con Firmino Pederiva, Lele Zamagna e Gianluca Righetti creammo una realtà importante. Mi piace l’aspetto educativo, insegnare i fondamentali e i primo movimenti, far crescere l’autostima nei bambini affinché chi tra loro andrà avanti possa farlo con il maggior numero di nozioni. Nel mio curriculum ci sono Stella, Delfini, San Marino, Misano”.

Da mister ha allenato un giocatore speciale, suo figlio Francesco ora al Faetano, anche lui un bomber.

“Sì a Verucchio e a  Coriano dove segnò 11 e 13 gol. Ha segnato 101 gol in carriera Francesco, ha vinto il campionato di Prima e la Coppa Emilia all’Igea Marina , quello di Eccellenza alla Fya Riccione, è salito di categoria col  Verucchio l’anno scorso grazie al terzo posto. Anche lui avrebbe potuto fare di più calcisticamente, gli è mancata la fame. Ma va bene così. Come padre non ho nulla da rimproverargli: è un ragazzo d’oro”.

Stefano Ferri

Nelle foto gallery: 1) Gori con la maglia del Cattolica (numero 9) si accinge a calciare un punizione: sullo sfondo in maglia gialla il portiere dell'Elpidiense è Ricky Albertosi. 2) In azione con la maglia del Trani. 3) Gori palla al piede con la maglia del Cattolica. 4) Nella stagione 87-88 con il Lamezia Terme in C2. 5) Gori con il figlio Francesco, anche lui attaccante.

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