Quando qualcuno decide di lasciare il villaggio, in Africa, la famiglia intera si riunisce per decidere se sia una cosa giusta oppure no. In questo caso, non succede esattamente così: Kokoriko è la storia di una famiglia allargata atipica, fatta di assistenti sociali, genitori affidatari, madre pellegrina e padre ignoto.
È la storia di un ragazzo nato in Zambia, nel cuore dell’Africa nera, in un giorno senza data, che non saprà mai calcolare con esattezza quanti anni ha. Un ragazzo che ad un certo punto della sua vita decide di partire per l’Italia, arriva a Milano e lavora con l’anima e con il corpo per realizzare il sogno di diventare attore.
Il viaggio verso l’Italia è in aereo, eppure Kokoriko resta a tutti gli effetti la storia di un’emigrazione: una storia a tratti fastidiosa, perché non possiamo prenderne le distanze come spesso facciamo quando ci troviamo di fronte ai racconti tragici ed esasperati legati al fenomeno dell’immigrazione così come lo conosciamo oggi.
Quella di Kokoriko è un’emigrazione dettata non da bisogni materiali, non dalla fuga da condizioni di vita avverse, ma dalla presa di coscienza che ciascuno di noi ha il diritto di assecondare le proprie attitudini e di realizzarsi pienamente. E’ un’emigrazione che ci somiglia di più. Una storia vera, che miscela con sapienza la prorompente espressività africana con l’ironia europea; una vicenda complessa capace di toccare le più alte corde emotive degli spettatori.
IL PROGETTO
Twàngale significa “giocare” in bemba, la lingua più diffusa in Zambia, Paese tra i più dimenticati dell’Africa nera.
In Zambia non esiste una cultura teatrale così come la intendiamo in Europa: la forma più vicina allo spettacolo è quella dei canti e balli tradizionali, legati a rituali precisi. È recentemente emersa la tendenza a mettere in scena momenti di vita vera, ma solo in ambito scolastico e solo a scopo ludico. Manca uno strumento che sia in grado di essere lo specchio sia della sensibilità dei singoli che della società, assumendosi il compito di fornire spunti di riflessione personale e collettiva. Il progetto Twàngale intende portare in Zambia il teatro propriamente inteso: una Scuola di Recitazione che possa dare ai giovani la possibilità di scoprire che cosa ci sia dietro al mestiere dell’attore, dell’autore e del regista, insegnando loro a trasmettere, attraverso la parola ed il linguaggio del corpo, messaggi culturali importanti. In questo modo, il teatro non verrebbe più
considerato un gioco, ma una forma artistica con una forte valenza sociale.
Nell’estate 2016, grazie anche ai fondi raccolti dall’attività di crowdfunding
si è costituita la Compagnia Teatrale Twàngale. Sotto la guida di Martin Chishimba, i ragazzi coinvolti hanno scritto, prodotto e messo in scena lo spettacolo Broods of Any, “Figli di Nessuno”, che svela la vita dei ragazzi di strada.
IL PERSONAGGIO
Martin Chishimba, attore, regista e cantautore, nasce in Zambia nel 1988. La sua storia personale lo porta ad inseguire il sogno di calcare il palcoscenico fino in Italia, dove si diploma alla Scuola di recitazione del Piccolo Teatro di Milano, sotto la guida di Luca Ronconi.
Ha lavorato con importanti registi tra i quali lo stesso Luca Ronconi, con cui ha messo in scena Lehman Trilogy di Stefano Massino, con Elio De Capitani nello spettacolo Harper Regan di Simone Stevens, con Peter Stein per Der Park di Botho Strauss e con Irina Brook per L’Isola degli Schiavi di Pier de Marivaux.
Ha inoltre scritto e interpretato lavori dalla forte impronta autobiografica, tra i quali Kokoriko, Colpa di Caino e Sum in Domo, andati in scena anche nei teatri di Rimini, Riccione e Misano Adriatico. Vive tra Milano e Ndola, in Zambia.
L'ingresso è ad offerta libera e tutti i proventi andranno a sostegno del PROGETTO TWANGALE, per la fondazione di una Scuola di Recitazione in Zambia, che possa dare ai giovani la possibilità di scoprire che cosa ci sia dietro al mestiere dell’attore, insegnando loro a trasmettere, attraverso la parola ed il linguaggio del corpo, messaggi culturali importanti.